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canto nono | 169 |
55
L’asino un par di calci gli appresenta,
indi mena la coda agile e presta;
apre a un tempo la canna, e lo sgomenta
coi ragli che tremar fan la foresta;
sbatte l’orecchie, e di ferir non lenta
or le spalle, or i fianchi, ora la testa;
volta la poppa, e tuona, e a l’improviso
fulmina, e a fresco gli dipigne il viso.
56
Il buon roman, che la tempesta sente,
getta lo scudo ed a fuggir si pone:
rise il mantenitor dirottamente,
e tornò in su le mosse al padiglione.
Ma giá la notte il carro a l’occidente
volgea, né compariva altro campione:
ond’ei si chiuse ne la tenda, e ’ntanto
dieron principio i galli al primo canto.
57
Il dí seguente il giostrator si stette
nel padiglione, e non fe’ mostra alcuna;
ma poi ch’usciro i gufi e le civette
su per gli tetti a salutar la luna,
a suon di trombe con nov’armi elette
anch’egli fe’ vedersi in veste bruna:
bruno il cimiero e bruno il guarnimento,
ma bianco era il destrier piú che l’argento.
58
E i paggi, che servian per candelieri,
dove dianzi parean de la Guinea,
parean scesi dal cielo angeli veri,
e come i visi ancor cangiâr livrea.
Tutti comparver con vestiti neri
in calze a tagli; onde a veder correa
con voglia ingorda la milizia tosca
tirata dal favor de l’aria fosca.