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canto nono | 163 |
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Ma perché non m’imputi a codardia
il rifiutar la prova de la spada,
lasciami terminar l’impresa mia,
poi ti risponderò come t’aggrada.
Lo scudo, se ’l mi chiedi in cortesia,
io lo ti lascierò; per altra strada
non ti pensar di ritenerlo, o ch’io
a tuo voler sia per cangiar desio. —
32
— Il cangerai, soggiunse, al tuo dispetto,
l’altro guerrier, malvagio incantatore. —
E del tronco de l’asta in su l’elmetto
ferillo, e trasse a un tempo il brando fuore.
Tremò l’isola al colpo, e tremò il letto
del fiume; e sparve tosto ogni splendore:
balenò il cielo; e con orrendo scoppio
s’aprí la terra, e n’usci un fumo doppio.
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Sfavillò il fumo; ed ecco immantenente
due tori uscir d’insolita figura,
che con occhi di foco e fiato ardente
parean seccare i fiori e la verdura.
S’uniro i due guerrier, tratte repente
le spade; e non mostrar di ciò paura.
Vengono i tori: e l’uno e l’altro campo
trema de gli occhi al formidabil lampo.
34
Il cavalier de l’isoletta s’era
tratto in disparte a rimirar la guerra.
Come saetta, l’una e l’altra fera
col biforcuto piè trita la terra.
S’apre a l’arrivo lor la coppia altera;
passa il corno incantato, e non gli afferra:
menano entrambi, e ’l taglio de la spada
par che su lana o molle piuma cada.