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canto nono | 161 |
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onde a fatica ei si salvò notando.
Restò lo scudo, e’n lui si lesse: «Irneo».
Allor di nuovo l’isola tremando
s’aperse, e il gran gigante in sé chiudeo:
e ’l chiaro lume, ch’era gito in bando,
tornò a le torce spente e l’accendeo.
Tacque il tremito e ’l vento: e nuova giostra
chiamando, il cavalier fe’ di sé mostra.
24
Il terzo giostrator fu Valentino,
che passeggiando venne un destrier sauro:
e ’l quarto il valoroso Giacopino
sopra un ginetto altier del lito mauro,
ch’avea ferrato il piè d’argento fino
e sella e fren di perle ornati e d’auro:
ma l’uno e l’altro uscí de l’isoletta
senza lo scudo, e dileguossi in fretta.
25
Il quinto fu il signor di Livizzano;
ch’innamorato di Celinda altera,
e per lei colto in fronte e messo al piano,
ebbe a perir de la percossa fiera.
L’asta rotta si fesse, e ’l colpo strano
fée’ le scheggie passar per la visiera;
ond’ei cadde trafitto il destro ciglio,
de l’occhio e de la vita a gran periglio.
26
Il Potta rivoltato a Zaccaria
che gli sedea vicin, disse: — Messere,
quest’è certo un incanto e una malia:
ognun quel cavalier fará cadere. —
Rispose il vecchio allor: — Per vita mia
ch’a me l’istesso par, né so vedere
che possan guadagnar questi briganti
a cozzar col demonio e con gl’incanti: