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canto ottavo 147


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     — Dormiva Endimion tra l’erbe e i fiori
stanco dal faticar del lungo giorno,
e mentre l’aura e ’l ciel gli estivi ardori
gli gian temprando e amoreggiando intorno,
quivi discesi i pargoletti Amori
gli avean discinta la faretra e ’l corno,
ch’ai chiusi lumi e a lo splendor del viso
fu loro di veder Cupido aviso.
48
     Sventolando il bel crine a l’aura sciolto,
ricadea su le guancie in nembo d’oro:
v’accorrean gli Amoretti, e dal bel volto
quinci e quindi il partian con le man loro;
e de’ fiori, onde intorno avean raccolto
pieno il grembo, tessean vago lavoro,
a la fronte ghirlanda, al piè gentile
e a le braccia catene, e al sen monile.
49
     E talor pareggiando a l’amorosa
bocca o peonia o anemone vermiglio,
e a la pulita guancia o giglio o rosa,
la peonia perdea, la rosa e ’l giglio.
Taceano il vento e l’onda; e da l’erbosa
piaggia non si sentia mover bisbiglio:
l’aria e l’acqua e la terra in varie forme
parean tacendo dire: «Ecco, Amor dorme».
50
     Qual ne’ celesti campi ove il gran Toro
s’infiamma ai rai di luminose stelle,
sogliono sfavillar con chioma d’oro
le figliole d’Atlante, alme sorelle;
ch’a la maggiore e piú gentil di loro
brillando intorno stan l’altre men belle:
tal in mezzo agli Amori Endimione
parea tra l’erbe e i fior de la stagione.