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canto ottavo | 139 |
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Giá l’uscio aperto avea de l’oriente
la puttanella del canuto amante,
e ’n camicia correa bella e ridente
a lavarsi nel mar l’eburnee piante.
Spargeasi in onde d’oro il crin lucente,
parea l’ignudo sen latte tremante,
e a lo specchio di Teti il bianco viso
tingea di minio tolto in paradiso:
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quando a la mostra uscí tutta schierata
la gente. E prima fu l’insegna d’Este,
che l’aquila d’argento incoronata
portar solea nel bel campo celeste:
or d’uno struzzo bianco è figurata,
impresa del tiranno e di sue geste.
Di Sant’Elena il fiore indi seconda,
terra di rane e di pantan feconda,
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e Castelbaldo, a cui tributa rena
l’Adige che fa quindi il suo cammino.
Savin Cumani è il duce, e da l’amena
piaggia di Carmignano e Solesino
e dal Deserto e da Valbona mena
gente, dove costeggia il vicentino:
l’armi ha dorate, ne l’insegna al vento
spiega un nero leon sovra l’argento.
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Schinella e Ingolfo, onor di casa Conti,
gemelli e dal tiranno ambiduo amati,
da la Creola e da’ vicini monti
guidano dopo questi i lor soldati;
San Daniel, Baone, e le due fronti
che toccano del ciel gli archi stellati,
Venda e Rua, Montegrotto e Montortone
Gazzuolo e Galzignano e Calaone.