Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
canto settimo | 127 |
43
Cosí disse: e chiamando Iride bella,
ch’al sole avea l’umida chioma stesa,
— Vola, le impone, o mia diletta ancella,
e di’ a Marte che ceda a la contesa
fin ch’arrivi Gherardo e sua sorella,
a cui si dee l’onor di quest’impresa. —
Iride non risponde, e i venti fende,
e giú dal ciel ne la battaglia scende.
44
Vede Marte da lunge, e drizza l’ale
dov’ei combatte, e l’ambasciata esprime:
indi si parte, e fuor de la mortale
feccia ritorna al puro aer sublime.
Marte, che scorge la tenzone eguale,
ritira il piè da l’ordinanze prime
e ne la retroguardia intanto passa;
e ’l Potta incontro ai romagnoli lassa.
45
Il Potta avea assaliti i faentini
e fracassata la lor gente equestre,
ché gli scudi dipinti e gli elmi fini
non ressero al colpir de le balestre.
Giacoccio Naldi e Pier de’ Fantolini
rimasero feriti e a la pedestre:
e a Mengo Foschi e al cavalier Giulita
il Potta di sua man tolse la vita.
46
Uccise Bastian de’ Fornardesi,
che sapea tutto a mente il Calepino,
e dal vóto ch’avea d’ir ad Ascesi
lo sciolse e di vestirsi di bertino.
Indi per fianco urtò fra gl’imolesi,
e s’affrontò col cavalier Vaino,
ch’ucciso avea Pallamidon fornaio,
che mangiava la torta col cucchiaio.