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canto settimo | 121 |
19
Voluce in tanto si risente, e gira
il guardo, e vede il principe lontano.
Tosto dietro gli sprona; e, poi che mira
chiusa la strada e che s’affanna in vano,
urta fremendo di disdegno e d’ira
tra i ferraresi anch’ei col brando in mano,
e fa volar al ciel membra tagliate
e piastre rotte e pezze insanguinate.
20
Tagliò una spalla a Tebaldel Romeo,
e a Buonaguida Fiaschi un braccio netto;
la gamba manca a Niccolin Bonleo
troncò dove finía lo stivaletto;
e mastro Daniel di Bendideo
pieno d’astrologia la lingua e ’l petto,
uccise d’una punta; ond’ei s’avvide
che del presumer nostro il ciel si ride.
21
Voluce fe’ quel dí prove mirande,
e uccise di sua man trenta marchesi,
però che i marchesati in quelle bande
si vendevano allor pochi tornesi;
anzi vi fu chi per mostrarsi grande
si fe’ investir d’incogniti paesi
da un tal signor, che per cavarne frutto
i titoli vendea per un presciutto.
22
Come nube di storni, a cui la caccia
lo sparvier dava dianzi o lo smeriglio,
se l’audace terzuol per lunga traccia
le sovraggiugne col falcato artiglio,
raddoppia il volo, e quinci e quindi spaccia
le campagne del ciel, vòlta in scompiglio;
or s’infolta, or s’allarga, or si distende
in lunga riga, e i venti e l’aria fende: