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NOTA
Non era ancor spenta l’eco delle ultime rime per la Bendidio, come nel primo componimento di questo secondo libro è chiaramente accennato, che Torquato, passando le vacanze estive del 1563 presso il padre in Mantova, si innamorò di Laura Peperara, figlia giovinetta di ricchi mercanti di quella città, come ho narrato nella mia Vita di T. Tasso cit., I, pp. 97-100.
Il canzoniere per la Peperara può essere distribuito in tre parti. La prima comprende il tempo dall’innamoramento fino a quando il poeta dovette lasciare l’amata per tornare agli studi in Padova con il proponimento di rendersi degno di lei (n. 1-27). La seconda, n. 28-47, si estende dal 1561 al 1567, ne’ quali anni Torquato fu assai di frequente a Mantova presso il padre, chiamatovi anche, come è certo, dall’amore per Laura: la quale tuttavia gli imponeva, pare, molto riserbo, mentre egli tentava invano di persuaderla all’amore, rodendosi di sdegno e di gelosia. I n. 43-45 alludono a una malattia di Laura; vinta la quale la giovinetta si recò in villa, salutata dal poeta con alcune vaghissime stanze (n. 46). Il sonetto n. 47 allude alla grave malattia sofferta da Torquato in Mantova nel settembre 1567 (cfr. Vita di T. Tasso, I, pp. 119-120), quando egli attribuí la sua salute ad una visita di Laura. Le composizioni del terzo gruppo, fino al n. 59, sono d’intonazione schiettamente cortigiana, e paiono composte dopo il febbraio 1579 quando Laura andò a Ferrara come dama della duchessa Margherita Gonzaga: ho qualche dubbio sulla attribuzione di taluna di esse. Le altre, dal n. 60 al n. 72, tra le quali sono notevoli le due serie di madrigali musicali, furono composte per il matrimonio di Laura col conte Annibale Turco, avvenuto nel febbraio 1583: il n. 73 è un madrigale per la nascita di una loro bambina: il n. 74 allude a una malattia di Laura avvenuta in un tempo non precisato, ma posteriore al matrimonio; il n.° 75 è un madrigale che loda la bellezza di lei non offuscata dal tempo.
Tra le rime di occasione o d’encomio troveremo la Peperara ricordata in un sonetto alla duchessa Margherita (Né òr piú fino o piú pregiato asconde).