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E se non fu de’ piú ostinati cori1
Ne’ vani affetti il mio, di ciò lagnarme
Già non devrei, ché piú laudato parme
8Il ripentirsi, ove onestà s’onori.2
Or con l’esempio mio gli accorti amanti,3
Leggendo i miei diletti e ’l van desire,
11Ritolgano ad Amor de l’alme il freno.
Pur ch’altri asciughi tosto i caldi pianti
Ed a ragion talvolta il cor s’adire,
14Dolce è portar voglia amorosa in seno.
5. C-9-11 piú costanti cori. 6. 9-11 di che lagnarmi. 7. C Già non [deggio io] devrei che piú lodevol parmi. — 9-11 Meco non ho che più lodevol parmi. 8. C Il pentimento. - 9-11 Vaneggiar breve, ove il pentir s’onori. 9. 85 Or con gli esempi miei nel testo, ma nel commento è al singolare come in C-9-11. — C Or con l’esempio mio gli [amanti] accorti amanti. 10. C [e i miei desiri] e’l mio languire. — 9-11 e i miei martiri. 12-14. C-9-11
Dolce è nudrir voglie amorose in seno
Pur ch’asciughi consiglio i brevi pianti
E che a ragion talvolta il cor s’adiri;
ma le rime sono trasposte.
- ↑ 5. Ne l’amor concupiscibile non vi può essere costanza ma ostinazione; ma l’amore il quale è abito nobilissimo de la volontà, come dice San Tommaso ne l’Operette, è costante nel bene che si propone per oggetto.
- ↑ 8. ove onestà s’onori. Ne le corti de gli ottimi príncipi.
- ↑ 9. Dimostra il fine che si dee proponere il poeta ne lo scrivere e nel pubblicar le sue poesie.
Composto quasi certamente nel 1581, quando, dopo la prima edizione delle rime (n.º 8), l’Aldo ottenne di farne una raccolta maggiore, alla quale il sonetto fu preposto (n.º 9). Cfr. la mia Vita di Torquato Tasso, Torino, Loescher, 1895, vol. I, p. 345 e p. 347.