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52 IL TORRISMONDO

Quasi egualmente. Ed io nol fuggo, e sprezzo,
Solo per ischivar gli affanni umani;
Ma più nobil desio, più casto zelo
Me della vita verginale invoglia.
Ed a me gioveria lanciare i dardi
Talvolta in caccia, e saettar coll’arco,
E premer co’ miei gridi i passi, e ’l corso
Di spumante cinghiale, e tronco il capo
Portarlo in vece di famosa palma;
Poichè non posso il crin d’elmo lucente
Coprirmi in guerra, e sostener lo scudo,
Che Luna somigliò di puro argento,
Con una man frenando alto destriero,
E coll’altra vibrar la spada, e l’asta,
Come un tempo solean feroci donne;
Che da questa famosa e fredda terra,
Già mosser guerra a’ più lontani regni.
Ma se tanto sperare a me non lece,
Almen somiglierò, sciolta vivendo,
Libera cerva in solitaria chiostra,
Non bue disgiunto in male arato campo.

REGINA

Non è stato mortal così tranquillo,
Quale ei si sia, del quale accorta lingua
Molte miserie annoverar non possa;
Però lasciando i paragoni, e i tempi
Delle vite diverse, io certo affermo
Che tu sol non sei nata a te medesma.
A me, che ti produssi, a tuo fratello,
Ch’uscì dal ventre istesso, a questa invitta
Gloriosa Cittate ancor nascesti.
Or perchè dunque (ah! cessi il vano affetto)
In guisa vuoi di solitaria fera