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ATTO PRIMO 11

Che d’algente rigor la notte è scossa,
Poi sul mattin d’ardente febbre avvampa;
Perchè non prima cessa il freddo gelo
Del notturno timor, ch’in me s’accenda
L’amoroso desio, che m’arde, e strugge.
Ben sai tu, mia fedel, che ’l primo giorno,
Che Torrismondo agli occhi miei s’offerse,
Detto a me fu, che dal famoso regno
De’ fieri Goti era venuto al nostro
Della Norvegia, ed al mio padre istesso,
Per richiedermi in moglie; onde mi piacque
Tanto quel suo magnanimo sembiante,
E quella sua virtù per fama illustre,
Ch’obliai quasi le promesse, e l’onta.
Perch’io promesso aveva al vecchio padre
Di non voler, di non gradir pregata,
Nobile amante, o cavaliero, o sposo,
Che di far non giurasse aspra vendetta
Del suo morto figliuolo, e mio fratello;
E ’l confermai nel dì solenne, e sacro,
In cui già nacque; e poi con destro augurio
Ei prese la corona, e ’l manto adorno,
E ne rinnova ogni anno e festa, e pompa,
Che quasi diventò pompa funébre.
Quante promesse, e giuramenti all’aura
Tu spargi, Amor, qual fumo oscuro, od ombra!
Io del piacer di quella prima vista
Così presa restai, ch’avria precorso
Il mio pronto voler tardo consiglio;
Se non mi ritenea con duro freno,
Rimembranza, vergogna, ira, e disdegno.
Ma poichè meco egli tentò parlando
D'amore il guado, e pur vendetta io chiesi;