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ATTO PRIMO 135
Misero me! non Cerbero, nè Scilla

Latrò così giammai, com’io nell’ ìalma
Sento i latrati tuoi: non can, non angue
Dell’arenosa Libia, nè di Lerna
Idra, nè delle Furie empia cerasta,
Morse giammai, com’ella morde, e rode.
Consigl. Signor mio, se la fè, che già più volte
Ti fu dimostra a manifeste prove
Nelle liete fortune, e nell’avverse,
Porger può tanto ardire ad umil servo,
Ch’egli osi di pregare il suo Signore,
Che de’ secreti suoi parte li faccia;
Io prego te, che la cagion mi scopra
Di questi nuovi tuoi duri lamenti:
E qual fallo comesso abbi sì grave,
Che contra te medesmo ora ti renda
Accusatore, e giudice sì fiero.
Non mel negar, Signor; perchè ogni doglia
S’inasprisce tacendo, e ragionando
Si mitiga, o consola: ed uom, che il peso
De’ suoi pensier deponga in fide orecchie,
Molto si sente alleggerito ’l core.
Galeal. O mio fedel, a cui già ’l padre mio
La fanciullezza mia diede in governo,
Perchè informassi tu l’animo molle,
E l’ancor rozza mia tenera mente
Di bei costumi onesti, e del sapere,
Ch’è richiesto a color, ch’il Ciel destina
A grandezza di scettri, e di corone,
Et ad esser de’ popoli Pastore;
Ben mi sovvien di quai prudenti e saggi
Detti m’ammaestravi, e quai sovente
Mi proponevi tu dinanzi agli occhi
D’onestà, di virtà mirabil forme;
E quai di regi esempj, e di guerrieri,
Che nell’arte di pace, e di battaglia
Furon lodati: e con quai forti sproni
Di generosa invidia il cor pungevi:
E con quali d’onor dolci lusigghe
L’allettavi a virtù; lasso! m’accresce
Quest’acerba memoria il mio dolore,
Che quant’io dal sentier, che mi segnasti,
Mi veggio traviato esser più lunge,