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II. GERUSALEMME LIBERATA
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7 ( 19 )
«Teco Ubaldo contende? or che ti vale dunque Tesser di re nato e d’eroi?
Narri costui, ch’ora di farsi eguale a te presume, il padre e gli avi suoi. Mostri scettri e corone, e di regale dignitate gli agguagli a’ maggior tuoi; ah quanto ardisce un che d’ignobil stato signore, e ne la serva Italia è nato.
8 (20)
Vinca egli, o perda ornai, fu vincitore sin da quel di, ch’emulo tuo divenne; ché dirá il mondo, e ciò fia sommo onore: ’ Questi giá con Hernando in gara venne *. Recar poteva altrui gloria e splendore quel grado posseder ch’Otton giá tenne; tu qual gloria n’avrai, s’Ubaldo il chiese, che chiedendolo solo indegno il rese.
9 (21)
E se poi ch’altri piú non parla e spira, de’ nostri affari alcuna cosa sente, come credi, che in Ciel di sdegno e d’ira il magnanimo Otton si mostri ardente; mentre in questo superbo i lumi gira, et al suo temerario ardir pon mente, lo qual sperando a tanto grado alzarsi seco ancor, non pur teco osa agguagliarsi.
10 (22)
E Tosa pure, e ’1 tenta, e ne riporta in vece di castigo onore, e laude: e v’è chi nel consiglia, e ne Tessorta,
(o vergogna commune) e chi gli applaude, ma se Goffredo il vede, e gli comporta, che di ciò ch’a te déssi egli ti fraude, noi soffrir tu, né giá soffrir lo dèi, ma mostra ciò che puoti, e ciò che sei.»