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— Guarda la campagna — diceva Flora — è tutta color di rosa — ed ella stessa s'intonava alle delicate sfumature di quella tinta, e intorno al collo e di su per le gote il sangue affluiva, dando alla pelle il colore di una perla incasto nata presso a un rubino.

— Guarda! Guarda! — Flora mormorava, sollevando la piccola mano per accennare verso il punto estremo dell'orizzonte, dove il color della rosa moriva, a poco a poco, nel colore di una ciarpa aurata, di tessuto cosi leggero e mobile, da accogliere e riflettere ogni più mutevole can giar della luce.

— Guarda, Germano, guarda! — e Germano guardava infatti, guardava e ammirava, ma egli non aveva bisogno di muovere l'occhio. A lui bastava contemplare il volto di Flora per vedere adunate nel sorriso di lei tutte le bellezze del cielo e della terra.

Da quel pomeriggio egli interruppe senz'altro i suoi convegni con la Tebaldi, e, avendola in contrata una mattina in mezzo ai campi, si fermò con lei un momento per ispiegarsi, acciocché tra loro non permanesse neppure l'ombra di un ma linteso. Le parlò gentile, quasi affettuoso, attra versando il giovane un periodo di bontà singo lare, e non pose mente allo strano mutamento avvenuto nella ragazza, di cui le forme erano più turgide e il volto più scarno, velato da una espressione intraducibile di sofferente stanchezza'.

— Sono contento di averti incontrata — egli disse — per farti capire che il tempo delle scioc chezze è finito. Del resto, noi rimarremo amici, e a quello che è stato non ci si pensi più.

Gli occhi di Balbina ebbero un lampo di scherno.