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E, a distanza di due settimane, era pervenuta una lettera datata nuovamente da Rimini e in cui si parlava di una grande festa di beneficenza. La lettera descriveva minuziosamente l'abbigliamento indossato da Adriana per la mondana solennità: una veste di crespo verde pallido su trasparente color di rosa.

«Non trovare strano — ella scriveva – che io abbia deposti gli abiti di lutto prima dell'anno stabilito dalle consuetudini. L'onorevole pensa che il nero aumenta la mia tristezza, e i grandi dolori non amano fare pompa di sè. Ordinai dunque due soli abiti neri, nell'occasione della sventura, e li ho indossati pochissimo, molto più che la sarta me li aveva fatti assai male».

Fosse la febbre, fosse la debolezza estrema, o il profumo troppo acuto esalante dal foglio violaceo, fosse il nome di Montefalco che, nel semi delirio, le evocava alla mente la figura di un uccellaccio dal ventre pennuto e dagli artigli adunchi, fatto è che la lettera di Adriana pose l'inferma in tale stato di agitazione da far perdere la bussola al dottor Giani, il quale, uscendo dalla casa bianca, rispose con una bestemmia formidabile alle interrogazioni di Germano e scomparve dietro la siepe del viottolo, imprecando contro il suo ignobile mestiere, che lo obbligava ad affannarsi e ad appassionarsi per gli altrui malanni.

Germano, a testa china, seguitò a camminare verso la casa bianca, per entrare un momento nella sala a pianterreno, dove il vecchio conte viveva nel più completo abbandono.

Quando Germano entrò il conte Innocenzo, son-