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— il tormentoso, inesplicabile martirio di una sete di febbricitante, che l'amara bevanda non sarebbe mai riuscita ad estinguere; poi l'allontanava da se, torvo, ostile, con le labbra contratte, come di chi abbia sorbito da una coppa nauseabonda.

— Vattene! — le diceva a denti stretti. — Vattene e non tornare!

Ella scompariva di tra le foglie del canneto senza salutarlo, senza una parola di lagno o pro testa per il congedo brutale di Germano.

Ma intanto sul viso di lei, ogni giorno più pal lido, guizzava un risolino enigmatico ogni giorno più beffardo.

Le lettere, che in questo mezzo Germano scri veva a Flora, erano lunghe, appassionate, inge nue, a brevi periodi isolati, legati a casaccio me diante congiunzioni fuori di posto, e impregnate di quell'aroma speciale emanante dagli inni dei rudi poeti primitivi, dove il pensiero ha l'anda tura goffa e deliziosa di un bimbo cui la nutrice allenti il sostegno delle dande, e in cui il senti mento spuntatimido come una rosa marzolina che tremi per un attimo in cima allo stelo e si sfogli subito, abbandonando i suoi petali tra gli ispidi rovi di un ciglione.

Il giovane, che fino allora aveva considerato il calamaio quale raffinato strumento di tortura, trascorreva adesso ore e ore chiuso nella sua stanza a scrivere, scrivere, ripetendo sempre le stesse cose, ma gustando un puerile intenerimento a tracciare sul foglio i cinque segni ond'era com posto il nome di Flora. Poi, con la lettera in tasca, si recava a gironzare nei pressi della casa bianca, allungando il collo per iscorgere al di là della siepe la piccola persona del dottor Giani,