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quale chiazza di sangue che brilli sopra la giubba di una leonessa ferita.

Quel colore di sangue rese furibondo Germano, il quale si precipitò su Balbina e l'abbattè ai piedi della quercia, convulso, ansimante, squas sandola rabbiosamente.

Da allora cominciò per il povero ragazzo una vita d'inferno. Di tacito accordo egli e Balbina s'incontravano ogni giorno, durante le ore cani colari, nell'insenatura formata dal suolo fra il tronco della quercia e il limite del canneto.

Germano, disteso bocconi, attendeva alla so lita ora col cuore gonfio d'ira, col proposito fer mo d'insultare la ragazza, appena ella sporgesse di tra il verde frusciante delle canne la testa fulva, spiando cauta da sinistra a destra, pari a volpe, che scruti, ed esiti, e fiuti, col muso in aria e le quattro zampe raggruppate e frementi, pronte per la fuga al più lieve sentore di peri colo. Bastava il rosseggiare dei capelli di lei per accendere nel sangue di Germano un iroso fer vore di battaglia; bastava che fissasse gli occhi di lei sporgenti e chiari, dove guizzava beffarda l'intesa di una secreta complicità, perchè Germano fosse assalito dalla voglia di annientare Balbina come si annienta una bestia malvagia, che fa non pertanto tremar le vene e i polsi col fascino della sua animalità onnipotente.

— Cosa vuoi? — egli le diceva, balzando in piedi e parlandole concitato. — Ti avevo detto di non venire più.

--- E tu perchè sei tornato, allora? — ella rispondeva, conscia oramai del suo potere.

Germano, cui il fermento della collera ribolliva nel sangue, tentava spegnere nelle braccia di lei