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— Andiamo — disse Clelia; e, rivolgendosi a Flora, domandò:
— Ma suo nonno dorme sempre?
— Sì, quasi sempre — rispose Flora, senza annettere importanza alla sonnolenza continua del nonno.
— Non c’è niente da fare? — interrogò il Tebaldi, accennando al vecchio e rivolgendosi al dottore pacatamente, quasichè il Giani non fosse la persona medesima con la quale si era accapigliato finora.
— Sì — borbottò il dottore fra i denti — ci sarebbe da restituirgli suo figlio e da levargli di dosso mezzo secolo.
Flora accese la lanterna ed uscì unitamente ai Tebaldi e al Giani, per accompagnarli sulla strada maestra. I cinque camminarono uniti fino alla scorciatoia per cui si accede al castello di Novillara, e quivi Flora si staccò dai compagni, tornando sola sui proprii passi, com’è abitudine nella campagna marchigiana, dove anche un bambino può cimentarsi a piacer suo di giorno e di notte.
La neve, caduta a larghe falde durante il po meriggio, si ammucchiava adesso sul terreno in erto e molle strato, attutendo ogni rumore e dando l’impressione di un sonno algido, nel quale le cose si fossero adagiate sotto il peplo immacolato e freddo di una vergine, cui il sangue corresse fervido nelle vene per desiderio di amore, ma di cui le belle forme si fossero irrigidite nel marmo per la vendetta di qualche deità malvagia. I rami degli alberi, piegati verso il suolo perchè non atti a sostenere il peso della neve, sembravano spiare, intenti e vigili, se qual-