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stra — ella diceva a Flora, mentre appuntava in fretta, cogli spilli, le ripiegature dello scollo. — La maestra avrà un vestito turchino, ma il mio è più turchino del suo, ed è stato cucito in città — e girava lentamente intorno a sè stessa perchè Flora avesse agio di ammirare la gonna di un azzurro greve, carica di falpalà, e il giacchetto a sbuffi, troppo tirato nel petto, troppo largo nella vita, reso anche più massiccio da una pellegrina bianca fatta all’uncinetto e guernita in fondo da una frangia a nappettine che, per l’amido, stavano isolate e rigide, simili ai piombini pendenti dal tombolo di un merletto.

— Ti pare che io stia bene vestita così?

— Sì, sì, benissimo — rispose Flora, la quale, d’altronde, aveva anch’essa un assai rudimentale concetto dell’eleganza femminile.

— Questa sera nella sala del Comune ci sarà folla e balleremo fino a giorno — Balbina disse, poscia, dopo avere sbirciato dalla parte del pa dre, proseguì con un lampo di cupidigia negli occhi chiari:

— Credo che ci sarà anche Germano Rosemberg —

— Ma Germano sarà andato a passare l’ultima sera di carnevale in città — rispose Flora, uscendo immediatamente dalla sua apatica condiscendenza.

— No, no, Germano è qui, nella sua villa. L’ho saputo dal giardiniere.

— Ah! sei in relazione col suo giardiniere? — chiese Flora, non riuscendo a vincere il dispetto e aggrottando l’arco sottile delle sopracciglia.

— Sicuramente — rispose Balbina, ridendo in aria di trionfo e mostrando nel riso i denti fe-