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— riacquistata, la figura di Germano dominava, cir confusa di poesia, come nei tempi lontani del loro amore giovanile.

Sali in vettura a piazza Barberini e si fece condurre al palazzo dei Cesari.

Sino a due ore prima era caduta una piogge rella leggera, a spruzzi, interrotta da brevi acquaz zoni violenti, che precipitavano a scrosci e che si calmavan poi subito, tornando l'acqua a vol teggiar nell'aria luminosa a foggia di pulviscolo iridescente. Spesse nubi diafane e candide solca vano il cielo, simili a onde che si arruffino, spu meggiando sulla glauca distesa del mare.

Nelle vie, larghe chiazze di acqua piovana brillavano come specchi.

Flora, stringendo fra le mani un grosso mazzo di rose comperate a via Sistina, si lasciava tra sportare dalla vettura. Ella sorseggiava l'aria, che le pareva saporosa ed eccitante più di un liquore, e sorrideva senza volerlo tanta era la felicità che le traboccava dal cuore. Avrebbe voluto volare e indugiarsi, essere già presso Germano e pro lungare la sua impazienza deliziosissima.

La vettura sboccò da via Bonella ed entrò nel Foro Romano.

Una città fantastica di colonne, di ruderi, di archi e capitelli natanti entro una luce leggermente violacea, apparve e disparve quasi in una visione.

Flora licenziò il vetturino e, pagata la tassa d'ingresso, cominciò a percorrere il viale ripido che conduce alle rovine.

Germano, a seconda delle istruzioni minuziose che ella gli aveva mandato per lettera, doveva aspettarla nella casetta di Livia, e precisamente, nella stanza centrale.