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al mare, e la carrozza diventava una barca, da cui si lasciava cullare socchiudendo gli occhi; se stavano in una carrozza elettrica sognava di es sere in treno, e una volta che fecero una gita sul Tevere in vaporino, ella fantasticò durante l'intiero tragitto, di percorrere coll'amante uno dei grandi fiumi americani per recarsi a vivere in una veranda sepolta fra alte piantagioni, dove uccelli dalle piume screziate gorgheggiavano strani canti e dove servi dalla pelle d'ebano avrebbero intrecciato, per divertirla, guerresche danze sotto la luna.

— A che pensi? — le domandava Germano. — Taci. Penso a te, penso a noi — ella ri spondeva con una sfumatura d'impazienza nella voce. Poi, quando Germano era partito, la realtà le tornava al pensiero col fascino delle cose ineso rabilmente perdute, ed ella ne rievocava ogni par ticolare, ne ricercava ogni traccia. La vita normale le riusciva ogni giorno più intollerabile. La sua casa le pareva una prigione, suo marito un carnefice, Anna Maria un'aguzzina; ma, in pari tempo, riconoscendo l'ingiustizia di tale odio e l'insussistenza di tali apprezzamenti, provava, a scatti, impeti di pentimento e di ri morso che la spingevano a manifestazioni ecces sive di affetto o ad una esagerata umiltà di lin guaggio e di contegno. Giorgio non la incoraggiva in tali sue resipi scenze, e seguitava a conservare verso di lei l'abi tuale atteggiamento austero di rassegnata ama rezza. Come non aveva per la moglie nessuna pa rola di rimprovero nei giorni in cui ella si mo strava fantasticamente irrequieta, così non aveva