Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/318

— Non ne parliamo più — rispose Flora che, in piedi vicino alla finestra, seguiva distratta col l'occhio le grandi nuvole diafane, naviganti pel cielo sotto l'urto di un impetuoso vento au tunnale.

Ogni sentimento di collera le era caduto dal l'anima, ed ella aveva quasi dimenticato l'episodio della sera precedente.

D'altronde suo marito aveva ragione. Che cosa rappresentava ella in quella casa? Da molti anni veniva nutrita, vestita, servita, senza dar nulla in compenso. La colpa peraltro non era sua, non era nemmeno di Giorgio, non era di nessuno. Il caso l'aveva gettata li, dov' ella vegetava come grano di spelta.

Appeso alla parete di contro alla finestra, stava un ritratto di Romolo al naturale. Flora si pose a contemplarlo intensamente. Un raggio di sole scherzava sull'oro della cornice, traendone scin tille; ma la figura di Romolo, sdraiato sopra un cuscino, rimaneva nell'ombra e pareva internarsi nella parete.

Forse egli sapeva e non voleva perdonare. Ma perchè allora era fuggito? Perchè suo padre e suo figlio l'avevano lasciata sola? Anche Ger mano fuggiva! La felicità non voleva saperne di lei.

Ricominciarono per essa le tetre giornate di un tempo, senza più nemmeno il conforto delle affannose letture.

I libri le apparivano insipidi e i godimenti figu rati dalla fantasia non le bastavano più, dopo le gioie del suo romanzo vissuto.

Fortunatamente venne a distrarla una lettera clandestina di Renato, il quale chiedeva trecento