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In che modo ti rende infelice? — doman dava Germano.

— In mille modi; in tutti i modi! — Ti fa mancare il necessario? — egli le chiedeva. — No, no, non mi manca nulla — rispondeva Flora impazientita. — Ti maltratta? E' geloso? — No; perchè dovrebbe maltrattarmi? None geloso; non gliene ho dato ragione mai, prima di rivederti. — Ma allora — insisteva Germano meravigliato — se non ti fa mancar niente, se non ti mal tratta, se non è geloso, in che maniera può ren derti infelice? Non capisco. — Ecco, proprio così, non capisci, non puoi capire; ma, intanto, la mia vita è un inferno — e singhiozzava, cingendogli il collo con le braccia, supplicandolo di non partire, di non abbandonarla. Germano la confortava amorosamente e imma ginava dentro di sè qualche tirannìa mostruosa da parte del cavaliere, e mille sospetti vaghi gli ronzavano per il cervello. All'angolo di via degli Artisti, ove, di solito, i due amanti s'incontravano, sedeva abitualmente una mendicante, cui Flora dava ogni giorno l'ele mosina di qualche spicciolo. Un pomeriggio, si era ai primi di novembre e cadeva una pioggerella uggiosa, la mendicante si alzò dal suo posto all'apparire di Flora e le porse una lettera con fare circospetto. Flora guardò inebetita la mendicante e fece l'atto di respingere la lettera. — Prenda, signorina, è di quel signore che l'aspettava qui ogni giorno.