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mai sua madre fosse già artista provetta a sedici anni e perchè mai avesse abbandonato il marito, al quale offriva adesso, con tanta lirica munificenza, il postumo e metaforico tributo di lacrime e fiori.

D'altronde la lettera proseguiva dicendo che la felicità non può èssere eterna, che il destino spietato si era frapposto fra lei e la sua pace, che là miseria era sopraggiunta, che il vecchio conte non aveva saputo misurare quanta fiera delicatezza potesse albergare nell'anima di un'artista e che ella aveva deciso di calcare nuova mente le scene per ricostruire il patrimonio devastato della famiglia Vianello.

Dove e quando Adriana avesse cantato, come e perchè il patrimonio della famiglia avesse subito viceversa l'ultimo crollo, mercè le sue frequenti domande di danaro, la scrittrice evitava di precisare, ammantandosi di mistero dietro il velo di molte perifrasi lasciate a mezzo.

«Tuo padre, che mi teneva in giusto conto, non cedette alle pressioni di chi mi odia (il chi era sottolineato e si riferiva evidentemente al vecchio suocero) e m'ha lasciato in retaggio il sacro diritto di portare il suo nome. Il nome dei Via nello e il titolo di contessa mi appartengono e nessuno, te lo giuro, riuscirà a spogliarmene.»

E, forse, per mostrare con quale accanimento si sentisse affezionata al titolo nobiliare del de funto, ella si firmava:

«Tua madre, contessa Adriana vedova Via nello».

Nelle lettere successive Adriana parlava a più riprese dell'onorevole Riccardo di Montefalco, commendatore, deputato, uomo superiore e di