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piccola Flora adorata. Sai perchè successe tutto quel garbuglio? Perchè mi avevi acceso un vul cano nel sangue, e io che ti rispettavo come una madonna, non trovavo il coraggio di fartelo ca pire. Sei contenta adesso che ti ho spiegato? — E le sollevò il volto, asciugandole pian piano le lacrime col fazzoletto che Balbina aveva cifrato.

Flora non singhiozzava più; ma il pianto le tremava ancora nella frangia bruna delle ciglia.

— Tu parli di lei, sempre di lei. Germano la guardava commosso, come si guarda un bimbo adorato, che nella cocciutaggine d'una bizza non voglia intendere ragione. Che cervellino originale! Ma così leggiadra in quel suo pianto, col busto esile rovesciato e gli occhi azzurri simili a due piccoli laghi aperti tra la neve. — Se parlo sempre di Balbina è per abitudine, Non ci pensare, te ne prego. Giurerei che, in questo momento, la brava donna si trova in can tina, a cavalcioni sulle doghe di qualche grossa botte a tracciare, col gesso, segni che capisce lei sola. Lasciamola dunque tranquilla e occupia moci di noi. Con una mano le sosteneva il capo, con l'altra le accarezzava il volto, passandole la punta delle dita sull'arco delle sopracciglia e indugiandosi a solleticarle la conchiglia dell'orecchio, emergente roseo dai capelli scomposti. Ella rideva adesso, di un riso incerto, tuttora soffuso di melanconia. L'idea di vedere Balbina a cavalcioni su di una grossa botte la consolava. Germano le posò l'indice sulla fossetta del mento e, premendo forte, l'obbligò a dischiudere le labbra.