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giorni non toccava cibo, essi credevano veder guizzare il lampo precursore della pazzia.

La mattina del sesto giorno, Anna Maria, per indurre la signora a nutrirsi, le disse che il di giuno l'avrebbe messa nella impossibilità di por gere il latte a Romolo, quando Romolo avesse fame.

Flora mangiò docilmente tutto quanto le por gevano, e poiché il bimbo sembrava star meglio, vinto dall'assopimento che nei lattanti, ammalati di meningite, precede la morte, Flora si addor mentò, stringendosi Romolo nelle braccia e bal bettando, senza comprenderle, parole prive di senso, Ma, nel destarsi, la coscienza del dolore le tornò intiera.

Prima anche di aprire gli occhi, si palpò, per istinto, le ginocchia a cercare il corpo del bimbo e, nulla trovando, si alzò impetuosa per correre verso la culla. Cercarono di trattenerla con la forza; ella si divincolò forsennatamente, respinse, cieca di furore, coloro che le stavano intorno e fu di un balzo presso la culla, dove il morticino giaceva. Lo afferrò, lo sollevò affannosa, sentì il gelo delle piccole mani, sentì il peso rad doppiato del corpicciuolo inerte, scrutò il caro volto, non più illuminato dai grandi occhi, ov'ella aveva sommersa l'anima, per sette mesi, toccando il fondo della felicità, posò la gota sopra quelle labbra senza respiro e ricordò, confusamente, un altro giorno di orrore e vide, come nell'incubo, sé stessa piangente e curva sopra un altro ca davere.

Con meraviglia di tutti, ella non versò nem meno una lacrima e non lasciò fuggirsi nemmeno un gemito.