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ch'ella pareva voler soffocare con l'esuberanza, quasi feroce, delle sue manifestazioni, si lasciava tormentar da lei, senza un gemito di protesta.

Il contagio di tale delirio si era, in parte, co municato anche agli altri, e il giorno in cui il primo dente tagliò le gengive di Romolo, fu ad dirittura uno scompiglio.

Il pranzo ritardò forse di un'ora, perchè Anna Maria aveva perduta la testa, nè il cavaliere pensò a lamentarsi del ritardo.

Renato approfittò del tripudio per farsi rega lare da Flora una catena d'oro, che disparve su bito e di cui non si sentì più parlare.

Ma la gioia si converti, l'indomani stesso, in preoccupazione ansiosa, poi in terrore disperato.

Romolo non voleva poppare; Romolo dormiva troppo; Romolo aveva la febbre.

Furono sei giorni di follìa, dei quali Flora, in seguito, non perveniva a rammentarsi che come una fosca voragine, dov'ella era precipitata, e in fondo a cui era rimasta giacente per un limite di tempo senza misura.

Tutto fu posto in opera per salvare l'esistenza del piccolino; ma una meningite lo aveva colto ed il visetto turgido, dalle labbra screpolate, aveva assunto una espressione balorda di stu pore che lo rendeva irriconoscibile.

Flora non parlava a nessuno, non ascoltava nessuno; e il suo muto dolore appariva così truce, che tutti sfilavano in silenzio davanti a lei, presi da un senso di pietà mista di paura.

I medici, chiamati a consulto, incitarono il ca valiere ad occuparsi della moglie, anziché del bambino, perchè nelle pupille atone di quella gio vane donna scapigliata e discinta, che da tre