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sarebbero rinchiusi dietro di lei, irrevocabilmente, con cigolìo sinistro.
— Perchè corriamo? — ella insistè, dando, senza volerlo, al suono delle parole un significato arcano di preghiera e di angoscia, d’invocazione e di terrore.
— Corriamo perchè piove. Non vedi quanto piove?
Anche le parole del dottore assumevano un significato diverso dal loro suono; un significato di protezione e conforto, di tenerezza e pietà.
— Sì, è vero, piove — disse Flora; e fu lei che si mise a correre più affannosa lungo il muro di cinta del frutteto, di dove i rami si affaccia vano e si protendevano miseramente spogli e scheletriti, simili a prigionieri morenti di fame entro il recinto di una torre abbandonata.
L’acqua cadeva sempre più fitta, sempre più minuta, e, di nuovo, una folata di vento passò all’improvviso sopra la desolazione della morta campagna e scosse, contorse, sibilando, le cime degli alberi, intorno a cui l’inverno già volteggiava in pigre rote, coll’ala sua stanca, dispensiera alle cose di silenzio grave e di plumbeo sonno.
Stordita, acciecata, con le gote bagnate, non sapeva nemmeno lei se per il pianto o la pioggia, Flora si trovò nella sala a pianterreno della casa.
Il dottor Giani era scomparso, e la giovanetta si guardò intorno con la certezza di vedere nella stanza tutto a soqquadro. Perchè? Ella non sapeva, ma sopra e dentro la casa doveva essere trascorso, turbinoso e implacabile, qualche ciclone devastatore. La stanza invece era silenziosa e