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far saltellare scherzosa nel concavo delle palme rosate; ma, intanto, la cupa fossetta del mento s’increspò, si contrasse nel riso fulgido e involontario, i profondi occhi balenarono gioia sotto l’arco sottile delle sopracciglia e la fronte si distese, apparendo più candida e più pura sotto il nimbo vaporoso dei capelli aurati e leggeri.

Il silenzio regnò impacciato per qualche minuto, finchè Germano, il quale, simile in ciò a tutti i giovani ricchi cresciuti nella solitudine selvaggia della campagna, ammantava di baldanza sprezzante la sua invincibile timidezza, si allontanò per il viottolo, senza rivolgere alle due ragazze il più lieve cenno di saluto.

— Ti piace? — domandò beffarda Balbina, indicando con moto del capo l’alta figura aitante del giovane cacciatore.

— Sì, mi piace — rispose Flora.

— Ti piace perchè è ricco? — insistette Balbina più beffarda ancora.

— No, mi piace perchè è bello — rispose Flora con accento pacato.

— E speri che Germano ti sposi?

Flora diventò color di porpora e spalancò i grandi occhi attoniti. Ella non pensava al matrimonio. Germano Rosemberg le piaceva, sentiva di piacergli e procedeva così, incurante ed ignara, verso l’avvenire.

Balbina le si avvicinò di due passi, raccolse dal terreno un pugno di foglie secche, miste di fango, e spingendole fin sotto il mento di Flora, disse:

— Vedi queste foglie? In aprile stavano lassù in cima all’albero e rilucevano al sole; adesso ci stanno invece sotto i piedi e il fango se le inghiotte. Così succederà delle tue speranze. Tu