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aguzzi e neri verso Balbina, poi, dopo averle appena risposto con un monosillabo indetermi nato, si girò dalla parte di Flora e, spianando al sorriso il volto olivastro, che s’illuminò e ri fulse per il bagliore dei denti, chiese alla giovanetta:

— Perchè ieri non venne alla fiera di Sant’Andrea? Aveva promesso di venire.

— Ha ragione — disse Flora — ma il tempo era cattivo e il babbo non volle accompagnarmi.

Il Rosemberg mandò un sospiro lungo, come se qualche cosa lo pungesse al cuore. Non giungeva a spiegarsi, nella sua rude ingenuità di signorotto campagnolo, perchè la voce di Flora gli facesse tanto bene e tanto male, e non giungeva nemmeno a comprendere perchè egli, che non temeva nessuno, che non aveva soggezione di nessuno, che, lieto della sua giovinezza, superbo della sua forza, si sentiva libero e audace al pari del falco, quando stridendo attinge le nubi, fosse vinto da una timidezza strana, quasi dolorosa, al cospetto di quella fanciulla così fragile e così innocua.

Balbina in piedi, col petto leggermente ansante e le sopracciglia aggrottate, stringeva forte tra i denti il pollice della mano sinistra e tormentava, col tacco largo della scarpa grossolana, le morte foglie, onde il terreno umidiccio era cosparso.

Germano, superando l’impaccio evidente, disse con tono alquanto corrucciato:

— Non si promette se non si può mantenere. Io mi sono annoiato molto a Sant’Andrea senza di lei.

Flora non rispose e, chinatasi rapida verso il suolo, ne raccolse alcune ghiande che si dette a