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Ma don Vitale non si contentava di così poco; egli si accaniva, a danno del bambino, sui casi e le declinazioni, con la voluttà di ferocia con cui un domenicano di altri tempi si sarebbe accanito contro un eretico, sopra ogni controversa questione di teologia.
Egli adorava Ermanno, e questo lo rendeva implacabile! Gli sarebbe parso di commettere una mostruosità, lasciandosi impietosire dal visetto compunto dello scolaro e dal pavido balbettìo della sua voce.
Don Vitale nutriva per Ermanno il rude amore di quei santi monaci, i quali flagellavano le spalle dei novizi prediletti, imponendo loro le privazioni più acerbe.
Lo chiamava dunque pigro, svogliato, ottuso di mente, malvagio di animo, spingeva in avanti la grossa testa per profetizzargli ogni sorta di sventure, e lo avrebbe anche battuto se non gliene fosse passato l'estro dopo che, un giorno avendo fatto il gesto di alzar la mano contro il bambino, Ermanno si era imbizzito dardeggiando fierezza dagli occhi, e Vanna, sollevandosi un poco dalla poltrona, aveva detto:
— Don Vitale, questo no - pronunciando le semplici parole, con tale accento di alterezza offesa, che il maestro, raumiliato, aveva addotto la scusa del sangue caldo e dello zelo.
Non potendo batterlo, gli afferrava una mano e gliela teneva avvinta da stritolargliela, specie allorchè il bambino gli rivolgeva domande imbarazzanti