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via, seguìto dal cognato, che già almanaccava di vincere con la cartella fortunata anche la tombola, la quale toccò invece a una maestra elementare.
Dell'atto generoso di Vanna Monaldeschi si ebbe per la città notizia immediata, e il Paterino, reso anche più zelante nel suo ardore proletario dal vino pastoso di molti fiaschetti, si mise alla ricerca del gobbo, incitandolo con parole magnanime a rifiutare le trecento lire; ma poichè l'altro, indignato, gli dette del pazzo senza metafore, si fece allora invitare a cena e mangiò per quattro a scherno dell'esecrato capitale.
Vanna si trovò sola, a mezzanotte, nel silenzio del talamo vedovato, dopo aver lasciato cadere una pioggia di baci leggeri sui capelli sparsi di Ermanno, che nel suo lettuccio dormiva profondamente. Le finestre erano aperte, l'aria notturna strisciava sui mobili con volo pigro e, ad ogni poco, un foglio di carta svolazzava con timido fruscìo, i veli dell'alcova si gonfiavano appena e ricadevano flosci, mentre un soffio tepido passava fuggevole intorno al collo di Vanna, che sentiva mancarsi il respiro. Allontanò da sè, con moto impaziente, i merletti della coltre e tese l'orecchio, mettendosi a sedere sul letto.
La porta della stanza di Ermanno aveva scricchiolato. Senza dubbio era il vento, il vento cauto della notte, che, entrato maliziosamente silenzioso per la finestra, si divertiva a spingere piano i battenti delle porte, andando e venendo dall'una