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cittadino si confondevano con gli stridi tumultuanti delle rondini innumerevoli, la facciata del Duomo pareva umanarsi nella luminosità blanda del tramonto, e le figure dipinte, le figure scolpite contemplavano, propiziando, la gioia di quelle genti adunate come si erano mostrate benigne, in quella stessa ora, in quelle stesse pose, alla gioia di tante altre generazioni scomparse.
Bindo Ranieri troneggiava nel mezzo del balcone e, al suono di una trombetta, annunziava la estrazione di ciascun numero.
Egli era confidenziale con la folla, quasichè fosse l'amico personale della gente adunata nella piazza, e andava tessendo burlescamente la psicologia dei numeri:
— Settantasette! Bel numero. Attenti laggiù, non fate sbagli, ragazzi! Ventidue! I numeri vanno a sbalzi; ma ci sono tutti, non dubitate! Ottantanove! L'età di mia nonna! Numero d'oro! - e, nella sua giovialità, girava il capo verso l'interno della sala, acciocchè i signori invitati si facessero buon sangue.
Un urlo formidabile di trionfo salì da un gruppo e, menando pugni per farsi largo, spingendosi in avanti a testa bassa, il calzolaio gobbo si precipitò per le scale del palazzo dell'Opera e invase i saloni circondato da molti uomini gesticolanti.
— Cinquina! Ha fatto cinquina! Lasciatemi passare, io sono il cognato - gridava un tipo nerboruto, rosso per l'emozione.