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Bindo Ranieri si buttò indietro il cappello di paglia, e sprofondate le mani nelle tasche dei pantaloni, cominciò a dondolarsi. Il lungo pizzo, già brizzolato, gli si ripiegava all'insù, dando alla faccia simpatica un'aria di beffa mefistofelica.
— Ah! Paterino, dimmi un po', conosci la storia?
Il Paterino rimase interdetto e si riallacciò la cinta di cuoio sotto la giacca.
Era noto urbi et orbi che Bindo Ranieri conosceva la storia di Orvieto come le dieci dita delle sue mani.
— La storia? - egli borbottò tra i denti. - La storia, per tua regola, l'hanno fatta i preti e io non ci credo.
— No, no, rispondi - Bindo Ranieri insistè, allargando il viso in una risata di contentezza. - Hai letto i libri delle riformanze? Hai letto i registri dell'Opera del Duomo? Sai chi erano i camerlenghi? Sai cosa facevano i soprastanti? Credi tu che il Maitani sia venuto qui a disegnare la facciata per i tuoi begli occhi? E credi che Ippolito Scalza abbia trascorsa qui la sua vita per soddisfare alle prepotenze dei socialisti? Rispondi, le sai tutte queste cose?
Il Paterino, evidentemente, rimaneva annichilito sotto la valanga di una simile erudizione; ma non volle darsi per vinto, e rispose con arroganza, sgranando gli occhi e arruffando i baffi:
— Io faccio il barbiere e non ho tempo da perdere sulle bugie de' tuoi registri. Sarebbe