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insediare nel Duomo la Camera del lavoro e servirsi del reliquiario per custodirvi dentro gli opuscoli di propaganda socialista.
Bindo rideva, tenendosi fermo il ventre con le mani incrociate, e il Paterino, di cui le gote apparivano anche più accese dei rossi baffi, si andava slacciando dalla vita la cintura di cuoio, sentendosi soffocare per la bile.
— Ridi, ridi - egli diceva a Bindo nel suo cadenzato accento orvietano - fai bene a stringerti il ventre. Il tempo della cuccagna sta per finire. Dentro il Duomo ci metteremo la Camera del lavoro.
— E sopra gli stalli intarsiati del coro vi metterete a cantare l'inno dei rivoluzionari? Farete un bel vedere.
— Sissignore, ci metteremo al posto dei canonici. Il Duomo non è stato fabbricato forse coi quattrini del comune? Da tanti secoli la città non si dissangua forse per mettere oro e pitture sulla facciata e statue sopra gli altari? Ebbene, vogliamo godercela la roba nostra. L'epoca della inquisizione è finita da un pezzo!
— E i papi non hanno fatto niente per Orvieto? Chi ha messo la prima pietra del Duomo? Sei stato tu oppure è stato Bonifacio VIII? Chi ha fatto scavare il pozzo di San Patrizio? Sei stato tu oppure è stato Clemente VII?
— Io me ne rido de' tuoi papi! Io voglio il trionfo della classe proletaria! Il Duomo è della città, la città è dei lavoratori, e dentro il Duomo ci faremo baldoria! Ecco qua. E adesso ridi!