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della facciata, ovvero di ornare in tarsia qualche seggio del coro. Forse, nata e cresciuta in altro ambiente e in altri tempi, Domitilla Rosa avrebbe domato, mercè l'esercizio della bellezza, la sete inestinguibile della sua anima; forse anche avrebbe potuto largire agli uomini tormenti e gioie con i molti vezzi della sua persona ormai sfiorita; forse, in Atene e Roma, giovani di ricche famiglie avrebbero appeso corone alla sua porta ed ella avrebbe danzato al suono delle tibie, su tappeti di porpora, avvolte le membra in tuniche di bisso, per infiammar di lascivia i signori del mondo; ma, nata e cresciuta nell'ombra della sua casetta orvietana, ella, priva di nozze, adorava il Signore, esaltandosi in lui.
Nella via del Duomo, presso la bottega di Bindo Ranieri, si rammentò che Serena non le era comparsa in casa dal giorno avanti; ma di ciò non risentì alcuna preoccupazione.
Chi avrebbe potuto far del male a una simile farfallina del buon Dio? Quasi a conferma di tale fiducia, dallo scosceso viottolo, a destra, un piccolo involto di mussolina bianca rotolò, rimbalzando fin sotto la torre di Maurizio. Era Serena, con le gambe nude, le braccia nude, il capo nascosto dentro un candido cuffiotto a ricami e, fra tutta quella bianchezza, un fiocco d'oro splendeva: la treccia bionda, legata da un nastro azzurro.
Domitilla Rosa non alzò la voce per chiamare la nipotina; affrettò invece il passo per raggiungerla