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manno l’attendeva per fare il giuoco del piroscafo? Questo bel giuoco era una invenzione di Serena, la quale, appena arrivata, diceva a Ermanno invariabilmente:
— Andiamo a giuocare il giuoco del piroscafo.
Allora i due bambini si precipitavano al pianterreno, dove, in una grande stanza disabitata, c’era una cassa vuota lunga e stretta. Vi entravano in festa e Serena, richiamando i ricordi confusi della traversata da lei fatta due anni prima dall’America in Italia, cominciava a barcollare, per simular il rullio del bastimento. Ermanno l’imitava e i due bambini si urtavano, si tenevano per le mani, si facevano prendere dal mal di mare, imploravano l’aiuto del dottore e dell’equipaggio, finchè arrivava la tempesta. Allora essi pestavano i piedi, si disperavano, simulavano con le voci l’urlo del mare in burrasca, mandavano grida scomposte, si pigliavano per i capelli, e Serena si precipitava fuori della cassa, annaspando con le mani e coi piedi sul pavimento per fare le viste di nuotare.
— Mi affogo, mi affogo — ripeteva con terrore la piccolina, ed Ermanno si slanciava fuori del piroscafo e ghermiva Serena per le vesti, spingendola di nuovo dentro la cassa.
— Io ti ho salvata la vita — egli doveva dirle; Serena gli rispondeva: — Grazie — e ricominciavano da capo.
— Io voglio fare il giuoco del piroscafo con