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Monsignore lo incoraggiò:

— Bravo, bravo, il nostro Titta. Non bisogna precipitare. Avete tempo davanti a voi e il matrimonio è un sacramento che va meditato.

— Chi disse donna disse danno — Titta sentenziò arditamente; ma si arrestò e si confuse, guardando timoroso la sua buona e bella signora.

Vanna lo rassicurò benigna, prendendo parte alla celia.

— Sappiamo, sappiamo dove mirano i sospiri di Titta. Palmina mi ha fatto le sue confidenze.

Gli occhietti furbi di Palmina brillarono di soddisfazione, perocchè a lei faceva piacere tutto quanto a Titta faceva dispetto e per Titta era un bruciore, un rancore pensare alle tenaci insidie ordite da Palmina contro la sua incolumità di vecchio scapolo. Egli dunque raccolse i bicchieri nel vassoio e si allontanò dal salone, mentre Palmina lo seguiva ridendo e agitando irrequieta la sua piccola testa di lucertola.

La piazzetta Gualterio, tacita come la piazzetta d’un villaggio, era tutta immersa nell’ombra; a sinistra, sotto l’arcata, un omettino gobbo, seduto di fronte al suo deschetto, si serviva alacre di spago e di lesina; da via Luca Signorelli, a destra, giungeva il suono rauco del violoncello, sopra cui don Vìtale doveva accanirsi rabbiosamente.

In tanta pace echeggiò un passo precipitoso e, sul limitare della piazzetta, si vide Bindo Ranieri, che arrivava dal Corso per andare verso il Duomo.