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— Poco fa stava in meditazione; ora sarà accessibile forse.
— Ditegli, in cortesia, che l'ordinando Ermanno Monaldeschi, accompagnato dal rettore del seminario, supplica la sua benignità per una udienza.
Il cameriere, camminando sulla punta dei piedi, infilò un piccolo corridoio a sinistra e, nel silenzio, suonò il rumore cauto ch'egli fece, picchiando alla porta della stanza privata.
La sala, dove Ermanno attendeva con monsignore, aveva seggioloni a braccioli in broccato rosso e oro: una tavola massiccia, coperta di tappeto rosso, andava quasi dalla finestra alla porta, drappeggiate entrambe di cortinaggi riccamente frangiati. Un grande orologio a pendolo segnava le nove e un quarto del mattino, e pareva che fosse già sera per l'oscurità.
Il cameriere si affacciò all'ingresso del piccolo corridoio e disse:
— Monsignor vescovo si degna ricevere il signor rettore e il signor Monaldeschi. Favoriscano.
Monsignore precedè, Ermanno vacillò un istante, ma si riprese, ed entrò, sulle orme del maestro, nella stanza, dove monsignor vescovo li accolse amabilmente, seduto in una poltrona ampia, ricoperta di cuoio.
Le cortine della finestra altissima erano sollevate; una lampada ardeva davanti a un Crocifisso di ebano, appeso al disopra di un cassettone, di ebano anch'esso, ad intagli.