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— Signor rettore, bisogna che io parli subito con monsignor vescovo. Vorrebbe accompagnarmi?
Monsignore si alzò e rispose:
— Andiamo.
Uscirono, sfidando la neve, che scendeva a larghissime falde, perpendicolarmente. Orvieto era morta. Alti mucchi bianchi si allineavano ai lati delle vie, e già la neve caduta aveva tutto ricoperto; gli architravi delle finestre, le sommità dei campanili, i rilievi dei portali, i gradini delle chiese, i muricciuoli degli orti. Monsignore, vestito di nero, Ermanno Monaldeschi, vestito di viola, sparivano nascosti dalle spesse falde; il suono dei loro passi non si udiva, attutito.
— Signor rettore? - Ermanno chiamò a uno svolto, non iscorgendo più la guida fidata.
— Sono con voi, non temete - la paterna voce di monsignore gli rispose, ed arrivarono così alla Sede vescovile, collocata a fianco della Cattedrale.
Nell'androne si crollarono di dosso la neve, ed entrati nella vasta anticamera, si rivolsero a un cameriere vestito di nero, che si avanzò loro incontro silenziosamente; li accolse con sorriso di ossequio, poscia li condusse attraverso la fuga dei saloni, addobbati con magnificenza severa. Nella sala, precedente la stanza dove il vescovo riceveva, il cameriere si fermò, e disse a bassa voce, dopo una riverenza:
— Comandino pure.
— È visibile monsignor vescovo?