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fra la neve con le sottane rialzate, Ermanno, in piedi alla finestra della camerata, contemplava il sole sopraffatto dai vapori invernali, contemplava le nubi in apparenza vittoriose, e rifletteva che le nubi si sarebbero disperse, che il sole rimaneva immoto, illuminando, riscaldando frattanto altre terre, poichè il sole, come la verità, feconda remoti campi, in quella appunto che i campi a noi prossimi languiscono per la mancanza del suo calore.
Monsignore gli si accostava dicendogli:
— Cosa fate, Monaldeschi?
— Niente, signor rettore; guardo la neve.
— A che pensate?
— A niente, signor rettore.
Monsignore si allontanava dopo averlo fissato, ed Ermanno provava umiliazione di avergli mentito; quantunque fosse deciso oramai di ostinarsi nella menzogna.
Il sabato, terzo giorno delle tempora di dicembre, Ermanno Monaldeschi sarebbe stato ordinato diacono, con solennità nella cattedrale, senz’attendere l’interstizio di un anno dal suddiaconato. La sua ordinazione costituiva una gioia ineffabile per il cuore paterno di monsignor vescovo, il quale, tre giorni prima, visitando il seminario, gli aveva detto:
— La mia anima di pastore esulta nell’accogliere dentro il recinto dell’ovile, a cura della mia greggia, un pastore nuovo, che sarà vigile e ci darà sicurezza. Cingetevi di magnanimità, figliuolo;