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La luna empiva di sè tutto il cielo, ed Ermanno, a distanza, scorgeva la corda del pozzo pendere a guisa di serpe dalla carrucola e due piccoli rami navigare alla superficie della secchia piena. Tutto era visibile, nitidamente, tutto era limpidissimo; l'azzurro trasparente del cielo, i raggi diafani della luna, eppure Ermanno non giungeva a comprendere che cosa ci fosse dentro il pensiero di Serena, nè a discernere che cosa ci fosse dentro il proprio pensiero. Questo era melanconico anche più della morte di Domitilla Rosa. Sentirsi vivere e pulsare il sangue, veder due bianche mani sorreggere una bruna testa, avere gli occhi pieni di luce amabilmente blanda, noverare a una a una le foglie sui rami e trovare fasciati di buio impenetrabile i cuori amici, fasciato di buio impenetrabile il proprio cuore, è mistero anche più sconsolante del mistero di un petto che non respira più. Serena dormiva ed Ermanno sospirò per esalare la sua pena confusa.

Un sospiro lungo di Serena gli fece eco.

— Non dormi? - egli domandò.

Serena sollevò la fronte e gli mostrò la faccia. No. Non dormiva; piangeva, e le gote apparivano roride, le pupille fulgenti tra il luccicare delle lacrime.

— Non piangere - Ermanno disse.

Essa crollò il capo e cercò con le mani sul muricciuolo.

— Che cosa cerchi?

— Ho perduto il fazzoletto.