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Il mattino del venerdì, giorno consacrato alla passione del Redentore, Domitilla Rosa, trasfigurata, chiamò Serena e le disse:
— Figliuola, mai più provai consolazione uguale dentro all'anima mia! Di tutto ringrazio il caro Gesù! - e le narrò che, all'approssimarsi dell'alba, Gesù era entrato sotto spoglie umili di pellegrino per l'uscio chiuso, annunziandole che ella sarebbe stata finalmente libera del suo mortale involucro e Gesù avrebbe con lei celebrato nozze fra i cori angelici del Paradiso.
Serena, accarezzandole il viso, le domandò:
— Allora, zia Domitilla Rosa, non vorresti nutrirti un poco per apparire più florida agli occhi del tuo Gesù? - e le porse latte, che la morente bevve con sorriso ignaro.
— Non hai niente da dirmi prima di volare in cielo, zia Domitilla Rosa? Non hai parole da lasciarmi in memoria? - Serena le chiese, prendendole con tenerezza una mano. Domitilla Rosa, che seguiva le sue visioni con l'anima vagante, crollò sui guanciali il capo lievemente.
L'orfana, arrivata un giorno dalle Americhe lontane, e che ella aveva accolta con pietà passiva, come una gabbia aperta accoglie l'uccellino sospinto dal freddo e dalla fame, non la interessava, non la riguardava. Era ombra, era vapore di fango terreno, e zia Domitilla Rosa, involandosi verso i celesti fulgori, non lasciava in dono all'abbandonata giovinetta nemmeno una lacrima di rimpianto.