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sperdere del suo patire, cominciò a dare in forti smanie, implorando con voce di pianto di venir coricata sulla nuda terra e di avere intorno alla fronte una corona di spine. Il dolce sposo, fasciato di gloria, stava per arrivare dal cielo e Domitilla Rosa voleva accoglierlo con le membra adorne di abiezione, acciocchè egli l'esaltasse, trasformando il duro suolo in tappeti molli di porpora e la corona di spine in serti aulenti di rose gemmate.
Serena, per placarla, le cinse il capo con una benda e le disse:
— Ecco, povera zia Domirò, eccoti la corona di spine. Domitilla Rosa, beata, si strinse con le mani la benda e mormorò:
— Oh! come punge! Oh! Gesù dolce quali trafitture! Fammi soffrire ancora, Gesù, inebriami delle tue pene! Io sono l'innamorata del dolore; ma il dolore che mi concedi è poco! Ti mostri avaro, sposo dolce, nel farmi gustare gli strazi del tuo martirio!
Serena, porgendole una tazza di latte, la secondò nell'amorosa follìa:
— Ecco, zia Domitilla, questo è fiele. Bevilo in memoria del fiele bevuto da Gesù.
La morente votò la tazza con labbra avide.
— Quanto, quanto è amaro! Di questo ti abbeveravi sulla tua croce, o Gesù amante. È fiele, è fuoco, le viscere mi si torcono. Oh! Gesù buono, tu mi ami, se mi dai strazio!