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giovane ardeva. Si ricordò che a poca distanza doveva esserci un fosso profondo, scavato a pendio, dove l'acqua, balzante da una rupe, correva limpidissima sopra un letto sassoso. Volle trovare l'acqua e si smarrì, sbucò da una siepe, forandosi alle mani, tagliò la strada maestra, si perdè nella silenziosità dei campi bruciati, passò davanti a un casolare deserto, inseguito da un cane che abbaiava furente, si lasciò rotolare da un greppo, che poi risalì, e più camminava inutilmente più si accendeva nella rabbia. Gli pulsavano le tempie, il cuore lo urtava in petto a colpi ineguali. Avrebbe bramito come il cervo anelante d'amore nelle foreste e si ostinò, sotto la canicola, alla ricerca dell'acqua.
Una quercia isolata, forse millenaria, lo aiutò finalmente a orizzontarsi, e in pochi salti fu sull'orlo del fosso che, ombreggiato di rami, tracciava un solco verde e fresco in mezzo alla desolazione della campagna riarsa.
Ermanno, avido, sì gettò bocconi per immergere nell'onda la faccia, e restò immobile, col petto alzato e ansimante, gli occhi sbarrati, a mirare un corpo di donna, diritta nel mezzo del fosso, immersa nell'acqua fino alle anche, emergente nudo il bel torso giovanile, simile al torso di una dea fusa nel bronzo. La donna alzava le braccia con gesto lento, poi le rilasciava cadere a piombo, e le mani, cadendo impetuose nell'acqua, sollevavano spruzzi; la donna rideva, squassando la chioma di una biondezza chiara di canapa in fiezze.