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Ermanno, il suo figliuolo, il chierico destinato alla vita austera del sacerdozio.

— Sarete stanchi? — Vanna domandò, e i due giovani, di comune accordo, asserirono che non erano stanchi e che di notte, al fresco si cammina assai bene.

Si cammina assai bene, ma non si dorme, di notte al fresco; nè Ermanno dormì, rientrato nella sua stanza. Si pose alla finestra, guardò la campagna e ne ascoltò le voci misteriose. Una civetta singhiozzava, a intervalli, con melanconia nè il singhiozzare della civetta aveva per lui nulla di lugubre. Il brutto uccello notturno è l’emblema della sapienza, ed Ermanno lo considerava a guisa di amico. Non lo incitava forse a riflettere, a meditare intorno ai pericoli di certi prolungati colloqui sull’erba del prato, sotto le stelle del cielo?

Ermanno crollò il capo. Anche per lui Serena era Serena. Ma frattanto il respiro gli pesava e una irrequietezza gradevole gl’impediva di coricarsi e prender sonno.

A ventidue anni, il chierico era di una castità assoluta, conservata intatta grazie al suo carattere altero, al rigore della disciplina ch’egli medesimo si era imposta, alla mancanza d’occasioni propizie, alla operosità assidua dell’intelletto, alla illibatezza dei costumi, alla parsimonia del cibo. Era casto, ma non più ingenuo, perché lo studio delle sacre carte lo aveva edotto circa le origini e l’essenza del peccato che gli si era affacciato