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e qualche sorso di latte, non aveva più forza di muoversi, e Serena sollevava di peso il diafano corpo per deporlo dal letto alla poltrona. Una febbre lentissima le succhiava il sangue, le spolpava le ossa, ed ella gioiva, esaltando il Signore che le permetteva di vivere per patire e che, misericordioso, le faceva assaporare la morte, largendole tormenti con paterna, amorosa prodigalità. Sentirsi ardere, poi gelare; tossire affannosamente e rimanere poi senza respiro, con la persona affranta cosparsa di sudore, le procacciava delizia, ed innalzava coll'anima inni di grazia a Gesù dolce, Gesù amore, che la rendeva degna di gustare nelle sue carni misere una porzione dello strazio da lui sofferto nelle carni divine.
— Oh! Gesù - ella diceva di notte, mentre Serena dormiva il buon sonno della giovinezza in una stanza attigua e mentre il raggio lunare batteva in pieno sui vetri della finestra - Oh! buon Gesù, concedi che io patisca ancora in memoria delle tue sante piaghe! - E quando Serena, scalza, entrava nella stanza per offrirle da bere, ella, pure ardendo di sete, fingeva di dormire, perchè Serena non la obbligasse ad accostar le labbra al bicchiere.
Serena la contemplava per qualche istante al chiarore lunare e si accorgeva ch'ella era desta; ma preferiva lasciarla tranquilla e non tediarla con le proprie insistenze, a cui d'altronde la morente opponeva una ostinazione implacabile di mutismo e sorrisi.