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Spesso anche, ed aveva allora l'impressione che ali fresche gli portassero profumi notturni, scorgeva di notte dormire un uomo buttato su di una branda, e intanto, cauta, silente, un'alta figura entrava, deponeva in terra la lampada, gli si accostava, gli premeva con le mani la fronte.

— Monsignore - diceva Ermanno.

— Figliuolo, coraggio.

— Il respiro mi soffoca.

— Coraggio, figliuolo. Tu sei giovane e la giovinezza ti guarirà.

Ermanno, vagamente, sorrideva nello smarrimento di ogni nozione. Era forse tornato bambino, che monsignore gli dava del tu?

— Monsignore, monsignore - egli balbettava, annaspando con le dita come uomo che affoghi!

— Caro figliuolo, coraggio. La vinceremo questa febbre malvagia - ed Ermanno sentiva due braccia valide che gli cingevano le spalle, lo sollevavano un poco, lo riadagiavano sui guanciali, ed egli ne traeva inesprimibile conforto.

La febbre malvagia infatti, dopo la quarta quindicina, perdette di gargliardìa, poi smise ogni baldanza, si affievolì e finalmente scomparve, lasciando il giovane così affranto e debole che il più delicato suono lo faceva palpitare e l'ala di una farfalla che vola sarebbe bastata a spaventarlo. Vanna arrivava sulla punta dei piedi, sostava discosta dal letto e contemplava in estasi la faccia bianca del figliuolo riconquistato.