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lampi dagli occhietti luccicanti, simili a punte di ago, sotto la pioggia dei ricciolini impomatati.

Da anni Palmina si trovava al servizio in casa Monaldeschi, eppure simulava di estasiarsi tuttavia al cospetto della sua nobile signora, come il giorno in cui, arrivata dalla campagna, aveva finto di scambiare la giovane sposa di Gentile Monaldeschi per un’apparizione della Madonna.

La signora si lasciava adorare placidamente e donava spesso, donava molto, suscitando in Palmina un tale zelo di riconoscenza ammirativa che ella si vedeva costretta a raddoppiare il dono per trovarsi al livello di una riconoscenza così sviscerata.

Palmina baciò un lembo della mantiglia di Vanna, baciò con effusione il piede scalzo di Ermanno e suggerì umilmente alla signora che era il momento di abbigliarsi per sedersi poi a respirare il fresco sul balcone, acciocchè gli orvietani, recandosi in Duomo per i vespri, potessero vederla ed ammirarla.

Frattanto, con le dita svelte, le attorcigliava i capelli, lasciando ch’essi ricadessero ondulati sopra le tempie e si rovesciassero nel mezzo della fronte a mostrarne il candore.

Vanna si alzò e disse svogliata:

— Dammi l’abito di seta nera; quello con le maniche di merletto.

Palmina si affrettò a trarre dall’armadio una fresca vestaglia di batista color acqua marina, adorna di pizzi.

— Ecco, signora, così lei oggi si deve vestire.