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vano a mitigar l’amarezza nell’animo del Paterino, il quale vinto da sincerità irosa, finì col darsi un pugno sul petto e giurare, abbassando la voce, che, volere o no, la religione serve di freno, ed egli preferiva il riposo festivo imposto dalla chiesa anziché imposto dai perturbatori.
Bindo Ranieri, nell’approvare vivacemente, urtò col piumino una piccola statua di alabastro e la statua cadde; ma forse per il tenero affetto coltivato da lustri nei seni trasparenti delle vereconde statuine verso l’amabile proprietario, essa cadendo non si ruppe ed attese con docilità che Bindo Ranieri la raccogliesse intatta e la ricollocasse al posto usato, nella vetrina.
Il Paterino osservò e non fiatò, risentendo in cuore una certa invidia all’indirizzo di Bindo Ranieri. Tutto andava per il suo verso a quel bonaccione! La torre di Maurizio avrebbe potuto crollargli sopra il negozio, senza sciupargli nemmeno una cartolina illustrata e la facciata del Duomo avrebbe potuto cadérgli addosso, senza nemmeno ammaccargli la visiera del berretto.
Ma la torre di Maurizio non pensava a crollare e si slanciava con più snello vigore alla conquista del cielo in quella ridente mattina primaverile, nè la facciata del Duomo meditava intenzioni ostili; era invece benigna nel trionfo della sua bellezza, era tutta una luminosità dalla croce superna della cuspide centrale al sommo delle guglie, dalle smerlettature della finestra a rosone ai musaici multicolori. Le figure attende-